POVERO FIUME LAMBRO.....!!!!!

Ci sono voluti 50 anni per rivedere i pesci nuotare nel fiume Lambro a Milano. Sono bastate 5 ore per mandare tutto a puttane. Il 23 febbraio 2010 si è verificato il peggior disastro ambientale nella storia del fiume: ignoti hanno causato lo sversamento di centinaia di metri cubi di idrocarburi e residui inquinanti che, provenienti dal deposito della ex raffineria Lombarda Petroli di Villasanta in provincia di Monza e Brianza, hanno invaso i terreni circostanti e da lì si sono sversati nel Lambro. I primi interventi della Protezione Civile non hanno potuto impedire che la marea nera raggiungesse il fiume Po; conseguentemente nuovi interventi sono stati approntati, per impedire che la sostanza inquinante raggiungesse il delta del Po e quindi il mare Adriatico.

Inquinamento del Lambro

Il disastro ebbe origine alle 3.30 della la notte tra lunedì 22 e martedì 23 febbraio 2010, quando degli ignoti entarono nella "Lombarda Petroli" situata a Villasanta vicino a Monza, una raffineria in disuso dagli anni ottanta, e svuotarono il contenuto di sette "silos" carichi di petrolio per abitazioni e vari tipi di idrocarburi, il tutto pari a circa 2,5 milioni di litri (pari a circa 170 autocisterne), secondo una stima del direttore centrale ambiente della provincia di Milano, Cinzia Secchi. Il petrolio fuoriuscito defluì nei terreni vicini alla raffineria e da lì si riversò nel fiume Lambro, scendendo verso valle trasportato dalla forte corrente del fiume, gonfio dalle piogge invernali. L'allarme fu lanciato verso le 5 del mattino e subito fu istituito un piano d' emergenza. Una task force formata dai Vigili del Fuoco, dai volontari dalla Protezione Civile e dai tecnici dell'ARPA, con l'aiuto del corpo forestale dello stato subito cominciò ad installare lungo tutto il corso del fiume delle dighe galleggianti in grado di fermare il petrolio. Intanto presso il centro del WWF a Vanzago cominciarono ad essere portati tutti gli animali contaminati dal petrolio. Centinaia furono gli animali estratti morti dal Lambro e quelli ancora vivi in gravi condizioni. Il petrolio superò il primo sbarramento, giungendo intorno alle 16 a Melegnano. Venne previsto una sbarramento fisso, creato per verificare lo stato delle acque, e qui la "task force" decise di creare il secondo sbarramento. Le "chiuse" dello sbarramento fisso vennero fatte alzare per consentire all'acqua pulita di defluire, mentre il petrolio fermo in superficie fu aspirato in appositi "autocisterne". La quantità di petrolio era però enorme, e anche lo sbarramento di Melegnano cedette, consentendo alla "marea nera" di proseguire il viaggio. Superato lo sbarramento di Melegnano, il petrolio, intorno alle 20, giunse a San Zenone al Lambro, dove la "task force", aveva creato il terzo sbarramento, utilizzando una diga, usata da Enel Energia per produrre energia elettrica da fonti rinnovabili (il fiume). Alla Diga di San Zenone, i vigili del fuoco e i volontari della Protezione Civile, con l' aiuto del Corpo Forestale, lavorarono duramente tutta la notte per impedire che il petrolio, potesse raggiungere il Po, ma gli sforzi risultarono vani, e il petrolio proseguì la sua corsa verso il Po. In tarda serata, la "marea nera" giunse a Lodi, inquinando i condotti agricoli, con gravissimi danni ambientali e al raccolto. Qui la task force creò un quarto sbarramento, utilizzando dei prodotti assorbenti per poter fermare il petrolio, ma anch'esso cedette e il petrolio proseguì la sua corsa. Verso le 6 del mattino di mercoledì 24, la "marea nera" arrivò a Sant'Angelo Lodigiano[senza fonte], sede dell'ultimo sbarramento prima dello sbocco del Lambro nel Po. La "task force" lavorò duramente, ma gli idrocarburi superarono anche questo ultimo sbarramento all'alba di mercoledì mattino, raggiungendo il fiume Po al punto di confluenza, nel tratto Piacentino del fiume.

Inquinamento del fiume Po

Verso le 11 di mercoledì 24 febbraio, il petrolio raggiunse il tratto piacentino del Po, e da qui in poi le operazioni per fermare il petrolio, passarono alla regione Emilia-Romagna e alla protezione civile nazionale. Il peggior timore fu che il petrolio potesse raggiungere il delta del Po e di conseguenza il Mare Adriatico. Essendo l'ecosistema del delta fragilissimo, il passaggio della "marea nera" avrebbe causato danni gravissimi all'ambiente e all'economia della zona. A Piacenza, con l'aiuto dell' esercito italiano, venne organizzata una seconda "task force" per fermare la "marea nera" prima che raggiungesse Ferrara, dove normalmente i cittadini bevono acqua del Po depurata. Sul luogo giunsero anche il ministro dell' ambiente Stefania Prestigiacomo e il responsabile della protezione civile Guido Bertolaso, fiducioso che la "marea nera" sarebbe stata bloccata prima di Ferrara. Gli sforzi della "task force" si concentrarono sulla centrale idroelettrica di Isola Serafini (PC), una diga dell'Enel atta a produrre energia elettrica. Le paratie della Centrale furono abbassate, per consentire all'acqua pulita sul fondo di defluire e contemporaneamente fermare il petrolio galleggiante in superficie. Il petrolio bloccato sarebbe stato poi aspirato con delle idrovore. Purtroppo per quanto bloccata la maggior parte dalla "marea nera", una piccola parte di essa riuscì comunque a superare la diga, e continuare il suo viaggio verso il delta del Po. Il giorno venerdì 26 febbraio, la "marea nera" raggiunse le province di Cremona e di Reggio Emilia, per poi passare in provincia di Ferrara il 27 febbraio.

I danni

Moltissimi i danni all'ecosistema del Lambro, con la conseguenza moria delle specie animali e vegetali. Danneggiata moltissimo è l'Oasi di Montorfano a Melegnano, sede di numerose specie di piante, alcune anche rare. I danni non sono relativi solo al ambiente ma anche alle strutture; i canali di scarico di Milano e Melegnano sono stati gravemente danneggiati dagli idrocarburi, e anche i terreni vicino alle rive si sono impregnati di petrolio. Oltre a questo, il 28 febbraio 2010 una azienda sconosciuta ha approfittato della situazione in cui si trovava il fiume per scaricare i suoi effluenti tossici nelle acque, evitando i costi di smaltimento.

Processo penale

Il 24 febbraio, la Procura della Repubblica di Monza ha aperto un fascicolo contro ignoti, per l'ipotesi di reato di "disastro ambientale" e "inquinamento delle acque". L'indagine è iniziata interrogando i dipendenti della "Lombarda Petroli", inclusi quelli licenziati, senza però inserire nessuno nel registro degli indagati. È proseguita per comprendere come accadde che "Lombarda Petroli", per non rientrare nella direttiva Seveso, avesse dichiarato allo stato italiano di avere nei propri serbatoi una limitata quantità di prodotti chimici.